Mangiare pesce in sicurezza: occhio all’Anisakis
Anisakis è il nemico numero 1 del pesce crudo. Seppur raro, è possibile trovare delle larve di Anisakis nei filetti di pesce che si comprano al mercato del pesce.
Per questo esistono delle regole, pensate per evitare che pesci contaminati finiscano sui banchi del supermercato o nei piatti serviti al ristorante, oltre ad alcune precauzioni che si possono prendere a livello domestico.
L’anisakis è un parassita nematoda che allo stato più adulto si trovano nell’addome dei mammiferi marini (balene, foche, delfini), più precisamente nello stomaco, e sono visibili a occhio nudo.
Nei pesci sono presenti all’interno delle carni, prevalentemente nella parte inferiore, dove assumono una colorazione biancastra.
I pesci più a rischio sono pesce sciabola, ricciola, lampuga, pesce spada, tonno, sardine, aringhe, acciughe, nasello, merluzzo, rana pescatrice e sgombro.
L’ospite comune quindi sono i grandi mammiferi e i pesci. L’ospite accidentale invece può essere l’uomo che si ciba di pesce crudo o poco cotto, e questo caso sono guai.
L’anisakiasi (o anisakidiosi) è un infezione parassitaria del tratto gastro intestinale e provoca sintomi che possono essere scambiati per altre malattie dell’apparto digerente (dolori addominali, nausea, vomito, diarrea).
È riportata un’alta incidenza nei paesi dove il pesce viene consumato completamente crudo o marinato/sottaceto. Fra questi il Giappone ne fa da padrone (basti pensare al consumo di sushi) la Scandinavia (il fegato di merluzzo), ma anche nei Paesi Bassi per i consumo delle maatjesharing (aringhe in salamoia).
In Italia l’incidenza è nettamente minore, anche vista la presenza di normative più rigide che in conformità con il Regolamento europeo (853/2004), prevedono che il pesce da consumare crudo debba essere “abbattuto” alla temperatura di -20 °C per almeno 24 ore, temperatura ideale per uccidere completamente i parassiti. Accorgimenti per evitare incidenti: seppur in Italia vige una normativa assolutamente funzionale, per prevenire ogni sorta di incidente bisogna prendere alcune precauzioni.
REGOLE PER EVITARE L’ANISAKIS
- Il pesce deve essere acquistato in posti sicuri, che abbiano le opportune condizioni igieniche.
- Il pesce non puzza, ma profuma. Quindi se emana odore possiamo dedurre che o è vecchio o il negozio che ce lo vende non è pulito.
- Il pesce venduto crudo eviscerato, sfilettato o porzionato, deve essere sottoposto a ispezioni visive, a campione o in maniera continuativa a seconda del metodo di lavoro (meccanico o manuale). Il parassita infatti si annida negli organi della cavità addominale.
- Se si mangia crudo, marinato o salato, accertarsi che il pesce abbia avuto un abbattimento fino a -20°C per almeno 24 ore o a -35°C per 15 ore (2) in modo da neutralizzare le larve.
- Se si mangia cotto, accertarsi che venga cucinato per bene. In particolare l’EFSA suggerisce che si deve portare la parte più interna del pesce ad una temperatura superiore a 60 °C per almeno un minuto. Per ottenere questo risultato è necessario cuocere il pesce per una durata più lunga e ad una temperatura maggiore. Per un filetto di 3 cm è necessaria una cottura di almeno dieci minuti per raggiungere questo scopo.
- Conservare bene il pesce: generalmente il pesce fresco dura in frigorifero un paio di giorni.
Va pulito ma non lavato, messo su un piatto di ceramica, ideale perché conduce il freddo, e coperto con un altro piatto perché deve respirare. Il pesce si lava solo prima di andare in cottura con acqua, sale e ghiaccio per raffreddare e rassodarne la carne.
SINTOMI DA INGESTIONE DI LARVE
Dopo l’ingestione le larve di Anisakis vitali possono essere espulse nelle 48 ore successive, oppure possono penetrare immediatamente nella mucosa gastrica causando dolori addominali causati da vomito e nausea. Un dolore addominale violento.
Qualora queste riescano a passare nell’intestino, si può manifestare un’importante risposta immunitaria eosinofila e granulomatosa, generalmente una o due settimane dopo l’infezione, con dolore addominale intermittente, nausea, diarrea e febbre. Spesso i sintomi vengono con una clinica del tutto simile a quella della malattia di Crohn.